La confusione che d'estate ci attornia, ci circonda, può essere un salva-vita, salva-persone, salva-personalità: ci fa dimenticare dei nostri pensieri, delle nostre difficoltà, perfino di noi stessə. Ma, quando la confusione diventa silenzio, quando ci alziamo e ci guardiamo finalmente allo specchio, scevri da ogni sovrastruttura, chi siamo? Chi siamo oltre quella corazza che ci cuciamo perfettamente addosso? Chi siamo oltre le voci, oltre le canzoni, oltre i testi che scegliamo di cantare? Chi siamo, quando nessuno è con noi?
Quello che noi usiamo come unico verbo in italiano, sentire, in latino ha diverse traduzioni. Perché c'è un sentire inteso come provare, sentio, e un sentire inteso come udire vero e proprio, percipio. Quando sentiamo qualcosa, in realtà la stiamo anche provando. Sentiamo con il corpo, e proviamo dentro di noi delle emozioni alle quali cerchiamo di dare un significato. Emozioni che, appunto, ci mettono alla prova. Emozioni che, a volte, preferiamo non vedere. Emozioni che ci destabilizzano, perché quando proviamo a sentire, in realtà, stiamo già sentendo e, se smettessimo di farlo, non potremmo udire ciò che il nostro corpo ha da dire.
Funziona così: non siamo completamente liberi di scegliere, anzi, non lo siamo per niente. Ci illudiamo di prendere delle decisioni, quando il nostro cervello ha già scelto per noi, ha già codificato la risposta migliore da utilizzare in uno specifico contesto. Dobbiamo limitarci a prenderne atto, a capire che, anche ciò che ci sembra lontano anni luce dalla nostra responsabilità, lo è ugualmente. Possiamo arrabbiarci, innervosirci, imprecare quando qualcosa non va per il verso giusto. Il verso nel quale vorremmo vada. Il verso in cui, però, non va mai. Perché è difficile centrare un buco perfino con una pallina, figuriamoci con le nostre scelte.
Sembra essere una condanna. Un vicolo cieco dal quale non c'è ritorno. Eppure, è una benedizione. È una benedizione acquisire una tale consapevolezza. È una benedizione, finalmente, considerarsi per ciò che si è: a volte ignoranti, fragili, irascibili, spaventati, emozionati. Perché tutto questo siamo noi. Tutto questo sei tu, anche se lo nascondi, anche se ti racconti una versione completamente diversa. E, pazienza se oggi non ti senti a tuo agio. Pazienza se hai proferito qualche parola di troppo. Pazienza se nessuno è riuscito a comprenderti. Tu, oggi, puoi scegliere di continuare a restare spalle al muro, oppure, di voltarti e camminare. Anche inciampando, anche cadendo: fai pur sempre dei passi avanti.
Una delle massime di Epicuro recita:
La più grande ricchezza è nel bastare a sé stessi.
Potrà suonare strano in una cultura che impone continuamente la ricerca della metà opposta, quella che ci completa, quella che, finalmente, ci fa sentire pieni. Ma, pieni, completi, lo siamo già di nostro. Solo che ogni tanto ce ne dimentichiamo, di quanto valiamo, di quanto siamo forti, anche senza nessuno, anche da soli. Non abbiamo bisogno di chi riempia i nostri vuoti, ma di chi ci navighi insieme a noi, di chi abbia il coraggio di tenderci la mano, anche mentre stiamo per cadere, soprattutto mentre stiamo per cadere. Non abbiamo bisogno di chi ci consigli cosa fare, ma di chi ci lasci sbagliare, fare le nostre scelte, per poi curare, insieme, le ferite rimanenti.
E, se nessuno sarà disposto a farlo, sappi che tu basti. Tu basti a te stessə. Basti a te stessə quando sei arrabbiatə, triste o emozionatə. Basti a te stessə, anche se tutti ti dicono il contrario. Basti a te stessə, anche se nemmeno tu ci credi. Però, basti. Vai bene così. Vai bene così quando vuoi, per un giorno, stare da solə, o quando vuoi non fare nulla. Vai bene così, quando decidi di fermarti, o di continuare a camminare. Vai bene così, anche quando ti fa paura guardarti allo specchio. Perché, oltre tutto quello che tu vivi, ci sei sempre e solo tu. E, se ti basti, se riesci a farti bastare, avrai pur sempre vinto, qualunque cosa accada.