Crepe

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07/11/2022

Quando tocchi il fondo puoi solo risalire. O risalirlo. Così dicono, così diciamo, per convincerci che, forse, non esista poi così tanto, il fondo. Per convincerci che non lo toccheremo mai, il fondo. O, per la paura di annegare quando siamo proprio lì, sul fondo, in attesa di riuscire di nuovo a respirare, in attesa di rivedere ancora la luce. 

Quando siamo piccoli ci sembra tutto così bello, nuovo, diverso, inaudito. Il mondo dei grandi è un luogo magico in cui potersi riparare, a volte nascondere, altre lasciarsi accarezzare. Giochi a fare l'adulto, vesti tutti i panni che vuoi: calciatore, medico, avvocato, commesso. Tutto ciò che puoi immaginare, puoi e vuoi fare. Poi grande ci diventi davvero, e le maniche da rimboccarsi diventano sempre più lunghe, a tal punto che non riesci più a tirarle su, quelle maniche. Però, diventi te stess*, almeno autonom*, un po' più autosufficiente. E, quell'autosufficienza ti serve per creare ad hoc il tuo vestito, troppo aderente o troppo largo, a seconda di come credi che il mondo ti vesta, e ti veda. Sì, perché, alla fine, l'ambizione, il desiderio che diventa bisogno è proprio che qualcuno ti veda, ti riconosca, ti dia esistenza per quello che sei, per quello che nascondi o lasci trasparire da quel vestito.

Non servono nuovi occhi per guardarti, ma nuovi colori per dare luce ai tuoi occhi, quando si spengono, si inumidiscono, quando si lasciano attraversare dalla gelida notte che attraversa anche te. Ecco che, allora, ritorni quel bambino che può e vuole fare tutto di tutto, perché poco non gli basta, perché per andare lontano c'è bisogno di sognare da lontano, partire dall'impensabile, partire da ciò che ti sembra più insensato. E, cosa c'è di più insensato che reincollare un vetro crepato? 

Quando qualcosa si rompe, che sia un oggetto o un pezzo di noi, crediamo sempre che non serva rimettere insieme i pezzi. Un po' perché fa male ricucire ciò che si è scucito: costa dolore, costa fatica. Un po' perché i punti non ti ricompongono così bene come eri prima: sono ferita, rimangono ferita. Ma, sono anche luce. Una famosa frase di una canzone di Leonard Cohen recita: 

C'è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce.
Leonard Cohen
 

Perché le crepe sono delle aperture, hanno delle aperture. Le crepe fanno entrare la luce. E, la luce ci illumina lì dove ci fa più male, lì dove nessuna acqua ossigenata può disinfettare. Perché ci sono delle ferite che guariscono solo con un po' di luce. E, quella luce entra senza chiedere il permesso. 

È un po' una serranda che non serra del tutto. E, anche se ti sforzi di chiuderla al meglio, ci sarà sempre un angolo che ti sfugge. Quello stesso angolo che fa entrare la luce, che ti sveglia, che ti fa sobbalzare, senza però farti davvero del male. Perché il vero dolore te lo porti dietro quando tenti a tutti i costi di non vederla, quella luce. Te lo porti dietro quando, pur di non vedere quella luce, inizi ad uscire con gli occhiali da sole, a testa bassa, dimenticandoti che esiste anche un cielo sopra di te. 

Ma, tu stess* sei cielo, e luce, e crepe contemporaneamente. Sei tutto quello che hai vissuto, e tanto altro che hai rimosso. Le crepe parlano di te, di come sei, di cosa sei stato. Anche se non vuoi vederle, anche se butti quella parte di te ormai rotta, le crepe rimarranno comunque. Perché noi saremo completi, ci sentiremo completi solo quando avremo il coraggio di accettarci nella nostra incompletezza, di riparare ciò che è stato rotto, o semplicemente accarezzare ciò che non è più possibile riparare. Perché non è folle chi prende in mano i cocci rotti e si ricostruisce, ma chi butta via le crepe, solo perché crepe, anche se emanano una luce bellissima. E, tu sei una luce bellissima. Una bellissima luce che sorge dal fondo, che nasce proprio dalle crepe.