“Panta rei” recita una famosa frase di Eraclito. Tutto scorre. Tutto scorre, anche se non ce ne accorgiamo. Tutto scorre, anche se non lo vogliamo. Tutto scorre, anche se non lo decidiamo. Tutto scorre, anche quando, sulla schiena, ci carichiamo chili di zavorre, che ci accompagnano per un piccolo pezzo di percorso, o per una vita intera. Tutto scorre, anche quando a scorrere siamo proprio noi, anche quando a scivolare è la nostra stessa ombra, che ci portiamo dietro, da sempre.
Accogliere le mancanze è, forse, la sfida più complessa che siamo chiamati ad affrontare. Le nostre giornate ruotano attorno ad una frenesia continua. Molte cose le facciamo per abitudine, attraverso schemi mentali consolidati, difficili da disinnescare. Altre cose, d'improvviso, smettiamo di farle, senza nemmeno conoscere il motivo. Da bravi esseri umani, in linea con il principio dell'evoluzione della specie, ci siamo adattati ad un mondo che va veloce, e veloci sono diventati anche i nostri pensieri. L'illusione del multitasking ha creato tanti vuoti, che scambiamo per pieni. Ma, quando ci fermiamo a toccare questi vuoti, pensando siano pieni, ci rendiamo conto di quanto vuoti siano.
Una mancanza è una mancanza, un vuoto che rimane vuoto. Una mancanza è un vuoto che rimane vuoto, anche se cerchiamo di non guardarlo. Una mancanza è un vuoto che rimane vuoto, anche se rivestiamo la sua superficie. Una mancanza è un vuoto che non va riempito, perché è l’essere vuoto che la rende tale. Una mancanza è un vuoto che ci ricorda quello che abbiamo vissuto, che circonda il nostro vissuto. Una mancanza è un vuoto che tratteggia il perimetro del nostro cuore, delle nostre emozioni, aspettando di essere visto. Perché, è solo se vediamo questi vuoti, è solo se ci tuffiamo in questi vuoti, che possiamo imparare a rimanere a galla, nonostante le mancanze.
Le mancanze sono un po’ come l’equilibrio: per ritrovarlo, dobbiamo perderlo, dobbiamo vivere quell'attimo di instabilità, per ritrovare un po’ di stabilità. D'altronde, anche il pianeta utilizza il terremoto per ritrovare il suo equilibrio. Un assestamento necessario tra le falde terrestri. Un assestamento che ci consente di continuare a poggiare, in modo sicuro, i nostri piedi sul terreno. Serve una giusta distanza tra noi e le mancanze, per essere in sintonia, per ritrovare la sintonia. Se siamo troppo vicini, rischiamo di bruciarci. Se siamo troppo lontani, rischiamo di lasciare indietro una parte di noi. È quello che insegna Icaro: se si vola troppo vicino al sole, la caduta è assicurata. Se si vola troppo vicino al sole, le ali, prima o poi, si sciolgono.
Una frase di una canzone di Mr. Rain recita:
Perché la vita non va mai secondo i piani.![]()
A volte, ci possiamo fare tutti i piani possibili, ma è la vita che li rovescia. È la vita che ci fa capire che non esiste piano più bello di quello che può essere cambiato, ampliato, vissuto. I piani sono metodo, schema, abitudine. La vita, invece, è quello che accade tra uno schema ed un altro, tra un'abitudine innata e una appresa. La vita è quell'attimo che passa prima di cambiare i piani, di dirottare la via. Quell'attimo che ci fa capire cosa conti davvero, cosa vogliamo portarci dietro nei nostri mille piani saltati.
L’essenza del divenire è proprio questa: cambiare, assecondando la vita, ascoltandola, accogliendola. Divenire significa saper lasciare andare, per fare spazio a quello che sarà. Divenire significa evolvere, crescere, trovare versioni alternative di sé, rimanendo sempre gli stessi. Perché, si può modificare la forma, ma il nucleo profondo di quello che siamo, continua ad essere, continua a vivere anche davanti ad un incessante divenire. E, se il divenire fa paura, è solo perché ci stiamo dimenticando la cosa più importante: ci evolviamo, ma sempre in compagnia di noi stessi.