Goccia dopo goccia

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18/10/2020

Crisi. Crisi. Crisi. Ultimamente sentiamo parlare solo di questo. Un fenomeno, interminabile, che ci catapulta in una dimensione totalmente negativa. Buia. Fredda. Umida. Ci sentiamo come barchette di carta in mezzo al mare: completamenti persi. Dove sono finiti i nostri ripari? Dov'è finito il canotto che ci assicura di restare a galla? Dov'è finito il filo della speranza che prima seguivamo per uscire dal tunnel? Tutto intorno è notte. Sopra di noi è notte. Dentro di noi è notte. E le stelle nemmeno riescono più a splendere, tanto sono coperte dalle nuvole.

Ma vogliamo aderire reattivamente a questa scura rovina o farci trasportare da un vento ingannevole? Sì. Davanti, dietro, sopra di noi soffia solo aria di crisi. Aria senza nemmeno più un filo di ossigeno. Avremmo soltanto bisogno di un nostro spazio d'azione. Uno spazio che ci permetta di avere contezza della nostra prontezza, delle nostre creazioni. Uno spazio che ci permetta di agire e stravolgere le nostre giornate. Uno spazio che ci permetta anche solo di pensare a come reagire. Eppure siamo immobili. Camminiamo, ma senza muoverci. Pensiamo, ma senza parole. Siamo pieni e vuoti al tempo stesso. 

Crisi, però, non è una parola velata solo di negatività. Anzi, tutt'altro. Deriva, infatti, dal verbo greco κρίνω (krino) che significa decidere, distinguere. La crisi è, quindi, un momento distintivo. È un momento decisivo per oltrepassare le nostre barriere limitanti; per abbattere quel muro di fitte e fisse convinzioni che separano l'attimo pre-crisi dal post-crisi. Noi siamo quello che ci raccontiamo. Il nostro pensiero narrativo, come direbbe Bruner, passa attraverso i nostri più arguti convincimenti. Se, dunque, ci raccontiamo che la crisi è qualcosa di completamente negativo, il nostro corpo risponderà con azioni completamente negative. E l'interconnessione tra azioni e convinzioni continuerà. 

Ma possiamo smettere. Possiamo smettere di credere di non poter far nulla. Possiamo smettere di credere di non poter cambiare le cose. Possiamo smettere di credere di non contare niente. Perché le più grandi rivoluzioni avvengono nel silenzio di un pensiero, di una speranza, perfino di un sorriso. Nel silenzio di un'emozione che divampa nel nostro cuore. 

John Fitzgerald Kennedy disse che

La parola crisi, scritta in cinese, è composta da due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l'altro rappresenta l'opportunità
John Fitzgerald Kennedy
  

Infatti, è proprio da un momento di crisi, di rottura con le nostre più radicate convinzioni, che nasce un'opportunità. Come la "Notte Stellata" di Van Gogh. Rinchiuso in un ospedale per malati mentali e in preda al delirio, trovò il suo più ampio spazio creativo. E quello che noi oggi ammiriamo e consideriamo uno dei suoi dipinti più belli è nato da un momento di crisi. Il νῦν, l'attimo che, però, ha plasmato una bellezza mondiale, di un'interiorità disarmante. 

Anche il mare, d'altronde, si riempie goccia dopo goccia. E goccia dopo goccia, quindi, anche noi possiamo dar vita ad una pioggia che ci ricordi quanta vita siamo. Quanta linfa scorre dentro di noi. E possiamo scegliere se lasciarci bagnare da queste piccole gocce che si posano su di noi, oppure ripararci sotto un ombrello che lascia scivolare e cadere l'ossigeno necessario per respirare. Ma forse, goccia dopo goccia, riempiendo il vaso di speranze che custodiamo dentro di noi, potremmo iniziare a respirare meglio. Anche con le mascherine.