Mai indietro

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29/03/2022

Sirene di guerra. Spari. Città svuotate. Stazioni assaltate, soffocate. Non è un film. Non è immaginario. È realtà. Realtà che da un mese ha invaso l'Ucraina. Realtà davanti alla quale si vorrebbe solo sparire. Ma, invece, tocca guardarla. Perché un proiettile che attraversa un singolo corpo fa male tanto quanto il sapore di un'umanità distrutta, derisa, infangata dalle angherie di pochi. 

"Non bastava il Covid, adesso anche la guerra." La frase che sopra tutto abbiamo sentito, incassato, opinato, magari dal bel divano comodo di casa nostra, lamentandoci del più e del meno, di quello che non funziona, distribuendo colpe a destra e a manca come si farebbe con un po' di cibo. La verità è che è semplice lavarsi le mani quando si hanno a disposizione acqua, sapone e asciugamani e mangiare un bel piatto di pasta seduti a tavola. Ma, farlo con le mani sporche di sangue, di terra, di fango, provocherebbe ritrosìa a chiunque. Quella stessa ritrosìa che sta provando chi, oggi, combatte al fronte. Chi, oggi, ha abbandonato la propria famiglia per un dovere di cittadino. E non esistono distinzioni di razza o nazionalità. C'è chi combatte, chi si sporca le mani, chi muore troppo giovane, chi protegge la propria terra a tutti i costi. 

Ma, poi, c'è chi sta dall'altra parte, chi manovra queste azioni trucide e omicide, e non si vergogna. Siamo forse figli di un'umanità differente? Abbiamo a disposizione un altro pianeta dove poter vivere e coltivare le nostre passioni? In un film di fantascienza potrebbe essere così, ma nella realtà non lo è. Stiamo sprecando tempo. Stiamo uccidendo la nostra stessa vita, il nostro posto nel mondo, il nostro essere. E, lo facciamo intenzionalmente, per scacciare dalla testa immagini atroci, per non accogliere una sofferenza che ci paralizza, e non ci farebbe andare avanti. Perché, vedere tutto questo fa male: diventiamo noi la nostra stessa fine. 

Fare i finti moralisti non aiuta, ci esula solo dai nostri doveri. Siamo venuti al mondo per vivere, amare, sognare, disperarci e rialzarci. Ma siamo anche al mondo per guardarci in viso a vicenda, per cogliere in uno sguardo la paura e la sofferenza, per empatizzare con chi ci sta vicino e non girarci di spalle, come se niente fosse. Forse, oggi, potremmo fare la cosa più semplice e naturale del mondo: imparare. Imparare dalla storia, da quello che svogliatamente abbiamo studiato o stiamo studiando, perché il nostro cervello è programmato per apprendere continuamente. Imparare che non c'è umanità se anche un pezzo di questa viene distrutta. Imparare che non esiste unità se ci consideriamo sempre e solo piccoli uomini isolati e fortunati di vivere dalla parte giusta del mondo. E, imparare che non c'è una parte giusta o sbagliata di mondo, ma una parte di mondo che necessita dell'aiuto dell'altra sua metà per rialzarsi. 

Come disse il generale Douglas Macarthur,

Il soldato prega più di tutti gli altri per la pace, perché è lui che deve patire e portare le ferite e le cicatrici più profonde della guerra.
Douglas Macarthur

Queste sono cicatrici che noi tutti stiamo, invano, cercando di curare. Ma sono cicatrici che resteranno, che ci ricorderanno di cosa siamo stati capaci di sopportare. Sono cicatrici che bruciano, accumulano polvere pur di sparire. Però ci sono, imprimono e impregnano la nostra vita.

Cosa dovremmo fare, allora? Guardare avanti. Guardare avanti per chi non lo può più fare. Guardare avanti per chi abbiamo perso. Guardare avanti verso il mondo che dobbiamo costruire. Perché indietro non si torna, mai. Il nostro corpo è votato all'avanti, al domani, alla vita. Cerchiamo di renderla una vita migliore, per quanto difficile, per quanto possibile.